Gastronomia
Le tradizioni gastronomiche di un popolo sono una finestra sulle abitudini di vita, sugli usi e costumi e più in generale sulla civiltà dello stesso. Questo vale naturalmente anche per i lucani, la cui cucina risente della preponderante influenza delle tradizioni culinarie pugliesi e campane, ma ciò non ne annulla le peculiarità. Essa è rimasta pressoché intatta nei tempi, con prodotti genuini e semplici del mondo rurale, figli di un’economia generalmente povera, ma non per questo meno gustosi e ricercati negli ingredienti. Anzitutto una doverosa precisazione: al tempo dei nostri nonni non esisteva il pasto a più portate, si mangiava quel poco che si aveva a disposizione in un unico grande piatto che in molti casi era l’unico pasto della giornata. A partire dal secondo dopoguerra, lo sviluppo economico, sociale e culturale ha determinato poi la suddivisione dei pasti in due portate(primo e secondo) a noi ben nota.
Il primo piatto ha sempre avuto un’importanza fondamentale, si pensi alla pasta fatta in casa, tradizionalmente lavorata a mano, con sola farina di grano duro, acqua e sale. C’è ne per tutti i gusti: orecchiette, strascinati, fusilli, capunti, lagane, maccheroni, cavatelli, calzoni, scorze di mandorla, le cui tecniche di preparazione sono pressocchè le stesse in tutta la Regione. Ad Irsina, davvero squisite sono le tagliatelle al vin cotto, mentre un po’ dappertutto sulla collina materana troviamo piatti davvero originali: tagliatelle con la mollica fritta, cavatelli con le cime di rapa, pietanza di innegabile origine pugliese, orecchiette o cavatelli con funghi e salsiccia e tanti altri ancora. Secondo un’antica leggenda materana, dalla forma che gli strascinati assumevano nell’acqua di cottura si poteva predire alla partoriente il sesso del nascituro. Anche le verdure costituiscono parecchi primi piatti, da sole o accompagnate da legumi o pasta: cicoria di campo in brodo di carne, scorze di mandorla con le cime di rapa, fave e cicorie, i finocchietti del Sabato Santo, con cotica di maiale e salsiccia del pezzente e le verdure spontanee fritte in olio, aglio e peperoncino, le frittate di asparagi selvatici, peperoni e cipolle, le zucchine con olive e peperoni, i cardoncelli con capretto o agnello etc. I legumi, gli ortaggi, i cereali e le erbe selvatiche dai profumi penetranti, sono la base di piatti dal gusto deciso e nel contempo armonico.
Grande pregio hanno le produzioni orticole fra cui il fagiolo di Sarconi e il peperone di Senise IGP. La tradizione artigianale delle genti contadine ha tramandato tecniche di trasformazione e conservazione degli ortofrutticoli sott’olio extravergine di oliva. Altre saporite particolarità sono i lampascioni, una varietà di cipolletta selvatica dal sapore amarognolo, ottimi da soli o in combinazione con altri piatti e i peperoni secchi detti “cruschi” lasciati ad essiccare per qualche tempo al sole. Si usa friggerli e mangiarli quando sono divenuti croccanti e legano benissimo con le uova strapazzate o il baccalà.
Il peperoncino, è sempre adoperato nella giusta misura in modo da risultare gradevole anche a chi non ama il cibo troppo piccante. Intingoli e sughi vari possono avere tra gli ingredienti la “pezzenta” un tipo di salsiccia preparata con gli scarti della carne di maiale o la “lucanica”, deliziosa specialità tutta lucana, già nota ai romani, prodotta con carni di maiale di prima scelta e condita con sale, pepe, peperoncino rosso in polvere, semi di finocchio.
A causa della povertà, la carne si mangiava raramente ma ciò non ha impedito di realizzare vere e proprie leccornie insaporite da una gran varietà di spezie ed erbe aromatiche. Le carni tradizionalmente utilizzate, oltre al maiale, sono quelle di capra e di pecora e vengono preparate alla brace, in umido o al forno. Due specialità della cucina regionale sono: il “cutturidd”, pecora in umido, preparato in recipienti di terracotta o in pentole di alluminio pesante e gli “gnummriedd”, involtini di interiora di animale. Significativa è anche la produzione di latticini: mozzarelle, scamorze, burrate, caciocavallo podolico, ricotte salate, provoloni, cacioricotta, manteche e pecorino, arricchiscono le tavole dei lucani di sapori allettanti tra i quali spiccano quelli intensi dei pecorini di Filiano e Moliterno, due paesi della montagna potentina.
Nella piana di Metaponto vengono coltivate fragole, uva da tavola, pesche e albicocche, mentre nelle valli che degradano al mare abbondano le pomacee.
Il dolce non rientra nelle specialità lucane, e scandisce per lo più le festività. Ve n’è, tuttavia, una significativa varietà: il sanguinaccio preparato con sangue di maiale, mosto cotto, uva passa, buccia di limone, zucchero, cannella, cioccolato fondente, le paste secche alle mandorle, i panzerotti di ceci, ripieni di un impasto di ceci e cioccolato e i taralli con la glassa. Nel periodo natalizio non mancano pettole, porcelli e cartellate fritte in olio.
Tra i vini il più famoso e apprezzato è l’Aglianico del Vulture, un rosso DOC presente in Basilicata fin dall’VIII secolo a.C. Nella stessa zona di produzione di questo vino, nel nord della regione sgorgano acque minerali effervescenti naturali. Nella zona della val d’Agri è presente la seconda produzione vinicola DOC Terre dell’Alta Val d’Agri. il Matera DOC è l’ ultimo vino lucano ad avere ottenuto il prestigioso marchio di qualità. Si producono anche oli di oliva extravergini di qualità superiore tra i quali quelli ottenuti dall’oliva majatica di Ferrandina e dall’ Ogliarola del Bradano.
Pane e “derivati” a Matera: la cultura del grano duro
Ancor più della pasta, il pane ha svolto un ruolo di primo piano nella dieta dei lucani. Elargire un pezzo di pane ad un mendicante era considerato il più nobile gesto di carità, il pane era quasi sacro tant’ è che non si buttava neanche quando era divenuto immangiabile perché, si diceva, “Cristo non vuole”. Prodotto con farina di grano duro, lievito, sale, acqua c’è ne di diverse varietà: il pane a pezzo dalla forma di cono alto, con poca crosta e molta mollica, il pane a forma di ciambella (ficc’latidd), il pane a forma schianata cioè allungata molto simile a quello che oggi chiamiamo “cornetto”, molto croccante e con poca mollica, solo per citarne alcune delle più note. Alimento base dei nostri progenitori, era fatto in modo tale da conservarsi a lungo e quando poi diventava duro lo si poteva consumare in acqua fresca, olio, pomodori e spezie durante l’estate. D’inverno, invece, lo si tagliava a fette e lo si disponeva in un recipiente d’argilla, poi si versava in questo acqua bollente in cui erano stati precedentemente calati olio, pomodorini, sale, aglio, cipolla e qualche pezzo di verdura. Questa minestra, calda e profumata, è nota con il nome di cialledda a Matera ed ancora oggi rimane una delle ricette più semplici e gustose della nostra cucina. Con la stessa farina del pane, ma con una lavorazione differente, si preparano prodotti affini: la focaccia, dalla forma schiacciata e circolare, condita con olio e pomodorini nota anche come “focaccia alla chianca” perché la si coceva a diretto contatto con la pietra del forno; il ricco d’olio, focaccia bianca condita con olio e, a volte zucchero, croccante e profumata; le cancelle, tarallini al seme di finocchio che per la loro durezza venivano chiamati “ossi di morti”. Da qualche tempo, grazie all’ impegno dell’ Associazione Provinciale Panificatori, il “pane di Matera” può fregiarsi del marchio IGP.
> Le stagioni della cucina materana, a cura di Franco Martina
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